Abbiamo intervistato lo scienziato Vincenzo Caprioli, padre dell’”Iperlogica”, disciplina che promuove un diverso approccio all’analisi sociale. Egli commenta il nuovo scenario politico venutosi a creare in Italia alla luce del problema che ritiene prioritario: la distruzione dell’ambiente.

Caprioli: “Per descrivere il mondo attuale uso una metafora di facile comprensione: immaginiamo che all’assemblea del nostro condominio, palazzo cui manca l’ascensore e con la facciata malconcia, si presenti un costruttore che dice: “vi rifaccio la facciata e vi installo un ascensore, in cambio mi date il sottotetto che diventerà un locale notturno; l’ascensore funzionerà con monete da venti cent.,  il giardino diventerà area parcheggio ma con posti riservati per voi; forse caleranno anche le spese di manutenzione”.

Chiunque capirebbe che il prezzo del cambiamento è che la vita nel palazzo non sia mai più quella di prima. Interventi simili sono purtroppo la norma per quanto riguarda la gestione dell’ambiente ma, toccandoci meno da vicino, fatichiamo a riconoscere ciò di cui veniamo defraudati. Finché si tratta di casa nostra ancora reagiamo, quando invece si tratta dell’ambiente e della sua fisionomia (paese, città, aree verdi limitrofe) le cose sfuggono all’analisi obiettiva.

Eppure anche per le risorse ambientali la posta in gioco è la stessa: l’aria che respiriamo, il tempo perso negli spostamenti, la sicurezza, il rumore… lo spazio di vita. Il liberismo economico è soprattutto questo: permettere progressivi danni ambientali pur di far girare denaro nelle tasche di qualcuno. Finché il danno si diluiva in spazi immensi… oggi siamo andati molto oltre il limite di saturazione. In particolare noi italiani viviamo in uno dei Paesi più densamente popolati al mondo. Sul piano scientifico è stato calcolato che ogni italiano dovrebbe disporre di uno spazio dieci volte maggiore perché il proprio impatto ambientale sia sopportabile.

L’esaurimento delle risorse a livello mondiale non può che creare sacche di crisi economica permanente ma, nell’ottica liberista, devastare sembra ancor più necessario a fini di sopravvivenza. La voracità liberista ha ad esempio scoperto il business dei carburanti da prodotto agricolo, proposti addirittura come ecologicamente opportuni. A sottrarre terreni alla produzione alimentare ci pensano anche le nuove infrastrutture e la logistica, quest’ultima dà più valore ai terreni potendo apparire un affare per tutti: società di trasporti, costruttori, proprietari terrieri, ente comunale. A perderci è “solo” la collettività. Molti comuni del nord Italia e non solo, negli ultimi dieci anni hanno addirittura raddoppiato la cubatura degli immobili, complice il fenomeno migratorio da altri Paesi.

Esiste una direzione diversa di evoluzione sociale? Certo, ma deve essere imboccata subito: si tratta di assumere come base di partenza la collettività stanziale in un certo territorio, di essa vanno considerate le necessità di spazio e di reddito.

Queste ultime si soddisfano anzitutto con lo svolgimento di ruoli utili alla comunità stessa: produzione agricola e zootecnica, servizi commerciali, servizi al territorio e servizi alla persona. All’interno di un mercato protetto, per quanto possibile in rapporto alle pesanti e distruttive ingerenze estere, sgravato da buona parte delle intermediazioni (il “pizzo” del grande capitale) si possono abbattere i costi molto più di quanto potrà mai fare la libera concorrenza.

Avremo meno scelta consumistica ma il necessario per tutti e conservando risorse per le nuove generazioni: non è poco.

Questa è la rivoluzione copernicana dell’economia che, affiancata da nuove norme in materia monetaria, creerebbe un’inversione di tendenza indifferibile. Essa va rinnovata però sul piano ideologico. La cultura storico-ideologica dell’Italia è sempre stata ben poco liberista: sia le forze di tradizione marxista che il nazionalismo hanno promosso in modi diversi un’economia “guidata” nell’interesse del popolo, rosso o nero che fosse. Le ideologie del ‘900, usate una contro l’altra, sono state rinnegate dalle stesse forze che apparivano ispirarvisi ed il verbo liberista, di matrice atlantica, invade quelli che fino ad oggi erano i due poli politici contrapposti. Con le ultime elezioni il bipolarismo all’americana è stato sconfitto in Italia e finalmente si può tornare a produrre idee, scoprendo che anche tradizioni considerate fino a poco tempo fa inconciliabili, possono unirsi nel contrastare il potere della grande finanza liberista. Dopo più di mezzo secolo appare finalmente possibile una trasversalità intellettuale e morale per “reimparare a pensare”: capire cioè una situazione gravissima ma oscurata dal plagio cui siamo stati sottoposti in decenni di autentica occupazione liberista”.

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